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La Carità

E’ parlare del vero amore, di quell’amore tra noi e Dio, che deve rispecchiare l’amore divino che unisce le tre persone della SS. Trinità; è parlare dell’amore che deve tenere unite la famiglie, la società, perché sia una società di fratelli e non di lupi che si sbranano. L’incarnazione di Gesù, ha creato un nuovo rapporto tra noi e Dio, tra noi e gli altri. Siamo diventati figli e quindi fratelli tra di noi: una sola famiglia, di cui l’amore è l’unica legge. Solo in caso di crepe, di litigi (e quindi solo su questa terra in cui noi viviamo) si è costretti a ricorrere ad altre leggi.

Di che natura è questo amore verso Dio e verso il prossimo, che noi chiamiamo carità? E’ un amore misterioso, non dipende dal sentimento o dal bisogno, come l’amore naturale. Ma deriva dalla paternità divina e ne è un riflesso. Dio è amore, come lo definisce S.Giovanni; mai siamo tanto simili e tanto conformi a Dio e alla sua volontà, come quando amiamo. Ma dobbiamo amare come Lui ci ama. Il vangelo, ci indica quattro gradi o formulazioni di questo amore.

Primo. I Sinottici e cito Matteo 22, 36-40 si esprimono così: “Maestro, qual è il maggior comandamento della legge? E Gesù rispose. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente”. Questo è il massimo e il primo comandamento. Il secondo, poi è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso”.
Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e tutto ciò che hanno scrittoi profeti. La parola “simile” è un inciso di Gesù, in aggiunta alle parole che già troviamo nell’Antico Testamento ed apporta una nota sconvolgente per l’Israelita: non puoi trattare Dio come Padre se non tratti e accetti gli altri come fratelli. Accettarli come fratelli, vuol dire che credi alla paternità di Dio.
S. Giovanni specifica: “Non ama quel Dio che non vede, chi non ama il prossimo che vede”. Luca, specifica con un’altra domanda rivolta a Gesù: “Chi è il mio prossimo?”- E Gesù narra la parabola del buon samaritano. Da qui vedete che l’estensione dell’amore è universale. Anzi Gesù dice che questo amore deve abbracciare anche i nemici, amali come te stesso. E’ il paragone più ovvio, che altrove viene espresso anche con altre parole: “Fa agli altri ciò che desideri sia fatto a te. E di conseguenza “Non fare agli altri, ciò che non vuoi sia fatto a te. Matteo nel capitolo 7-12, è molto categorico: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge dei profeti” E’ così che agiamo da figli di Dio.

Secondo. Il vangelo va oltre e ci dà una seconda formulazione della carità. Leggo Matteo, 25-35 “Venite benedetti…perché ebbi fame e mi deste da mangiare, sete, e mi deste da bere…Via da me maledetti: perché ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere”. Entrambi i gruppi di persone, a cui Gesù sta parlando rimangono stupiti e domandano: “Quando Signore non abbiamo fatto questo? ” E Gesù risponde: in verità, in verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose ad uno di questi piccoli, l’avete fatta a me…e qualunque cosa non avete fatto ad uno di questi piccoli non l’avete fatta a me”. Ecco la novità evangelica: Gesù si identifica con il prossimo. L’altro non è solo uno come te, ma negli altri c’è Gesù. In modo particolare nei più piccoli: ossia i più bisognosi, materialmente o spiritualmente. Dove cerchi Gesù? Dove credi di trovarlo, amarlo, servirlo? Guardati intorno, vedi chi ti sta vicino, chi incontri per caso. Gesù è nel prossimo e ci dice: Ciò che fai agli altri lo fai a me. Capire questo è comprendere un segreto necessario per la salvezza eterna.

Terzo. In Giovanni 13-34, troviamo un’altra formulazione della carità, del tutto nuova, perché amare il prossimo come noi stessi, è una formulazione del tutto valida, ma già contenuta nell’Antico Testamento. Ecco invece come Gesù si esprime poco prima di subire la passione: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda; amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Vedete il salto di qualità, il nuovo metro di misura dell’amore non basta più: ama gli altri come te stesso; ama gli altri come li amo io. Notate il contesto in cui Gesù dà questo che chiama il comandamento nuovo, il mio comandamento. Leggo Giovanni 13, 12-15. Poco prima aveva lavato i piedi agli apostoli, aveva ripreso la sua veste e si era rimesso a mensa. A questo punto dice: “Intendete quello che io vi ho fatto? Voi mi chiamate il maestro e il Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque vi ho lavato i piedi io, Maestro e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro.

Io infatti vi ho dato l’esempio, affinchè come ho fatto io, facciate anche voi”. Ne fa prima una questione di servizio e poi di fede. Capite bene che non si tratta materialmente di lavare i piedi al prossimo. Questo umile servizio poteva andare bene tra gente che andava in giro scalza, su sentieri polverosi. Qui siamo in tema di amore e Gesù ci dice che l’amore va espresso concretamente con gesti di servizio. E tutto questo è importantissimo tanto che Gesù ci dice: “Amatevi come io vi ho amato. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni verso gli altri. E’ il distintivo dei Cristiani. Se non c’è questo amore non si è riconosciuti come discepoli di Gesù e neppure si possono conquistare anime a Cristo. (Aneddotto confratello in Congo) Ecco la novità, il comandamento nuovo, interamente evangelico. Per vivere da veri cristiani non bastano più i due aspetti della carità, pur validissimi che abbiamo già considerato (tratta gli altri come tratteresti te stesso- ciò che fai a loro lo fai a me).

Senza annullare questi due aspetti Gesù ci cambia il metro di misura: amatevi come io vi amo. Allora lo sguardo si fissa su Gesù; è Lui il modello da imitare: l’incarnazione, Betlemme, Nazareth, la vita pubblica, la morte in croce…Vi sembra troppo? S. Giovanni nella sua stupenda prima lettera, piena di affermazioni secche e e precise, ci dice come se fosse la cosa più facile del mondo: “Come Gesù ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli”. E in un altro punto afferma: “Se siete cristiani -ossia seguaci di Gesù- vi dovete comportare come lui si è comportato”.
A questo punto notiamo quanto è impegnativa la carità. Forse il comandamento nuovo ci sconcerta e ci fa dire: è un metro di misura che mi condanna; non ho mai amato davvero, né mai potrò farlo. Vediamo allora come il precetto della carità deve essere per noi una ricerca continua, un continuo dinamismo. Forse ci sconcerta anche come l’altra parola di Gesù: “Siate santi come il Padre vostro che sta nei cieli è santo”.

Ci accorgiamo di quanto siamo imperfetti, di quanta strada dobbiamo fare. Essere perfetti come il Padre, non è una meta che si possa raggiungere, ma indica una via lungo cui camminare. Perciò non dobbiamo mai essere contenti di noi stessi, ma capire che se abbiamo raggiunto con sforzo un certo comportamento, una certa meta, dobbiamo renderci conto che non possiamo fermarci, perché il cammino che abbiamo fatto è assai più lungo di quello che abbiamo fatto. Il modello è Gesù. S. Paolo è arrivato a dire: Imitate me come io imito Cristo. (Aneddoto- durante la visita ad un malato a Lodi). Viver da figli di Dio vuol dire infatti amare come Cristo, comportarci come Lui.

Quarto. C’è ancora nel vangelo una quarta formulazione della carità. Leggo Giovanni 17, 21-43: “Affinchè tutti siano una cosa sola, come tu sei in me Padre ed io in te; che siano anch’essi una cosa sola in noi, affinchè il mondo creda che tu mi hai mandato”. Il nostro amore deve essere un riflesso di quello trinitario; deve farci sentire una cosa sola tra noi e con Dio, in modo tale da suscitare nel mondo la fede in Cristo. Tertulliano diceva: “Ai tempi dei primi cristiani, la gente li guardava ammirati e li additava dicendo: guardate come si amano!” C’è da essere umiliati, sconvolti da queste esigenze della carità. Forse qualcuno potrà pensare che ho esagerato, che ho detto cose impossibili, da attuarsi. Eppure ho solo ripetuto le parole di Gesù; se non avessi parlato così avrei tradito Lui e voi. Anche se oggi i problemi di relazione sono più sentiti che in passato, nel mondo non c’è fede perché non ci amiamo. C’è ben poco amore tra di noi: non sappiamo perdonarci, sopportarci, dimenticare; critichiamo, giudichiamo e mettiamo a tutti un’etichetta. Vediamo quanto egoismo, quanto arrivismo, senza badare se calpestiamo i diritti degli altri. Mi domando: perché siamo così cattivi? Eppure in fondo al cuore abbiamo desiderio di bontà.

Se oggi guardiamo gli aspetti della nostra società, sia del laicato, sia dei sacerdoti, sia dei religiosi, a parte casi eccezionali, non c’è da stare allegri. In complesso non siamo un segno efficace per attirare i nostri contemporanei a Cristo, alla Chiesa. Forse molte volte siamo controproducenti. Padre Damiano diceva sempre: non ho paura di chi combatte Cristo e la chiesa, ma ho paura dei Cristiani che non sono validi testimoni della fede. Infine per comprendere la forza e l’efficacia dell’amore potremmo rifarci all’esperienza, alla vita di Ghandi, che senza usare violenza liberò l’India.Termino ripetendo un brano del famoso inno alla carità, scritto da S. Paolo, nel Tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Vediamo che la carità è uno stato d’animo, prima che dipendere da azioni esterne. Stupisce perfino quando afferma: posso dare ai poveri tutti i miei averi e non avere carità, per cui non giova a niente; posso farmi bruciare vivo per gli altri e non avere carità, per cui non serve a nulla.

Ma è doveroso per me chiudere questa breve relazione leggendo proprio alcune parole tratte dall’Inno alla carità: “Se anche parlo la lingua degli uomini e degli angeli ma non possiedo la carità sono come un bronzo suonante o un cembalo squillante. E se anche ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede sì da trasportare le montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi giova nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa la carità; non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non sia adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” Amen

(Don Gabriele Amorth)